Art Bonus: l’investimento culturale tra dono e ROI

Il 30 giugno 2015 abbiamo partecipato in qualità di relatori all’incontro “Più bellezza meno tasse” organizzato dal Club delle imprese per la Cultura di Confindustria Bari e BAT sul tema del decreto Art Bonus, ovvero sulle liberalità delle imprese a sostegno della tutela e valorizzazione dei beni culturali. Si tratta di uno strumento semplice che consente al donatore di ricevere un credito di imposta fino al 65% (sia per le imprese sia per le persone fisiche). Le imprese possono detrarre fino al 5×1000 delle revenues, mentre le persone fisiche il 15% dell’imponibile. Le due forme di investimento sono peraltro cumulabili. Si tratta di una misura che per la prima volta offre a molti uno strumento per prendersi cura del patrimonio culturale italiano. Ogni dettaglio lo potrete trovare già sul sito dedicato ad Art Bonus www.artbonus.gov.it.

Ciò che però ci pare utile sottolineare oltre il tema dell’indiscusso vantaggio sul piano fiscale è la valorizzazione dell’investimento, che trattandosi di un liberalità ricade, ma non obbligatoriamente, sul beneficiario della donazione. Questo aspetto apre due ulteriori osservazioni: la prima riguarda la capacità dell’impresa di leggere il progetto che il gestore del bene culturale espone al donatore come  base per la liberalità, la seconda il non obbligo della comunicazione da parte del beneficiario di comunicare quale mecenate l’ha effettivamente donata. Ne consegue che se ho donato potrebbe non saperlo nessuno e quindi non ho alcun effetto sulla reputazione, ammesso che ci si sia dati delle metriche di valutazione di quest’ultima.

Se è vero che si deve parlare di dono, come dalle origini del mecenatismo mediceo, il nuovo mecenate essendo uomo di impresa deve necessariamente, oltre il 65% dell’investimento, preoccuparsi di come fare valere il restante 35%, affinchè si possa misurare il ritorno dell’investimento, peraltro cosa difficile da fare quando si tratta di temi come questo.

Il nuovo mecenate a nostro parere è un soggetto che deve preoccuparsi della dono e dell’effetto che ha sulla creazione di nuova bellezza prendendosi cura del progetto e almeno di una fase esecutiva dello stesso. Deve passare dal concetto di dono alla cura, come dimostra l’attenzione a guardare al medio-lungo termine delle iniziative rilevato in tal senso da una ricerca Civita. Affinché il dono sia uno strumento di costruzione della sua reputazione, come del resto gli stessi Medici avevano fatto, occorre preoccuparsi del progetto culturale nella sua interezza superando il il concetto di semplice valorizzazione del monumento o dell’evento su cui i è chiamati ad intervenire.

Qui suggeriamo una chiave di lettura della questione che riguarda la quota non oggetto del credito d’imposta, ovvero come valorizzare la donazione in una ottica di investimento. Il 65% di credito di imposta è la parte sommersa dell’iceberg, quindi se ne deduce che è la quota di investimento che non si vede. Quello che si vede è il 35% restante, quindi su questa parte, come imprese occorre concentrarsi per fare in modo che si sostengano i migliori risultati in termini di costruzione o rafforzamento della reputazione.